I conflitti geopolitici e il mercato petrolifero: il caso Israele-Hamas

Avantgardia

Questa situazione è legata alla possibilità di un coinvolgimento regionale, in particolare con l’Iran.

L’attuale conflitto tra Israele e Hamas, comunemente noto, nel mercato petrolifero come “l’evento del cigno nero”, ha il potenziale di innalzare i prezzi del petrolio a livelli significativamente alti, fino a 150 dollari al barile.

I timori riguardano il supporto potenziale dell’Iran ad Hamas attraverso l’invio di armi avanzate, che potrebbe ulteriormente aggravare il conflitto. Inoltre, l’influenza dell’Iran su gli Hezbollah potrebbe aprire un secondo fronte contro Israele, portando anche ad attacchi israeliani contro l’Iran. In risposta, l’Iran potrebbe decidere di chiudere lo Stretto di Hormuz, una via di transito cruciale per il petrolio a livello globale. Una mossa del genere interromperebbe le forniture di petrolio, causando un aumento dei prezzi e alimentando l’inflazione attraverso l’aumento dei costi energetici.
Sebbene alcuni possano sostenere che questo evento turbolento abbia avuto un impatto limitato sui prezzi globali del petrolio e sull’economia in generale, un’analisi più approfondita rivela una realtà più complessa. Il mondo del commercio delle materie prime è stato scosso dall’inaspettato sviluppo del conflitto, costringendo gli osservatori di mercato a considerare le conseguenze, nel futuro più vicino. Dopo l’attacco di Hamas contro Israele, i prezzi del petrolio sono inizialmente aumentati, per poi diminuire verso la fine della giornata. Tuttavia, come si suol dire, le apparenze ingannano. Questo conflitto Israele-Hamas, con la sua imprevedibilità, ricorda l’evento del cigno nero nei mercati delle materie prime, un termine coniato da Nassim Nicholas Taleb per descrivere eventi altamente improbabili e imprevisti che hanno un profondo impatto sui mercati e sulla società. Un evento che ha sorpreso non solo i trader, ma anche le banche centrali, in particolare la Federal Reserve, che si trova ad affrontare l’impennata dei rendimenti dei titoli del Tesoro USA e dell’inflazione, etichettandolo eufemisticamente come “transitorio”. Al contrario, il conflitto tra Israele e Hamas sembra essere tutto tranne che transitorio e sta già superando i suoi confini. Se la situazione dovesse aggravarsi a livello regionale, l’interruzione delle forniture energetiche potrebbe spingere i prezzi del petrolio verso la minacciosa soglia dei 150 dollari al barile, suscitando preoccupazioni sull’inflazione e su una potenziale recessione economica.
Il conflitto tra Israele e Hamas ha una storia che richiama eventi passati che hanno scosso i mercati petroliferi nel passato. Un esempio significativo è rappresentato dalla guerra dello Yom Kippur del 1973, un capitolo tumultuoso nella storia dei conflitti del Medio Oriente. Durante questa guerra, gli stati arabi hanno avviato un embargo petrolifero in risposta al conflitto, facendo aumentare vertiginosamente il prezzo del petrolio. Nei vivaci centri commerciali come New York, questo aumento è stato sorprendente: i prezzi sono quadruplicati, con un aumento che ha raggiunto il 300%-400%, a seconda del tipo di petrolio e del periodo considerato. Questo cambiamento epocale si è propagato a livello globale, colpendo le economie ben oltre le coste americane.
Il 19 ottobre 1973, subito dopo la richiesta del presidente Nixon al Congresso di fornire 2,2 miliardi di dollari in aiuti di emergenza per Israele, l’Organizzazione dei paesi arabi esportatori di petrolio (OAPEC) ha istituito un embargo petrolifero nei confronti degli Stati Uniti. Questo embargo ha interrotto le importazioni di petrolio statunitense dai paesi partecipanti all’OAPEC, causando una significativa riduzione della produzione che ha alterato il prezzo globale del petrolio. Questa riduzione ha quasi quadruplicato il prezzo del petrolio, passando da 2,90 dollari al barile prima dell’embargo a 11,65 dollari al barile nel gennaio 1974. Nel marzo 1974, a seguito di disaccordi all’interno dell’OAPEC sulla durata dell’embargo, quest’ultimo è stato ufficialmente revocato. Tuttavia, i prezzi del petrolio sono continuati ad aumentare.
In mezzo a questa tempesta energetica, sorge una domanda cruciale: come reagirebbero gli Stati Uniti a questa crisi petrolifera, soprattutto se fossero coinvolti attivamente nel conflitto in corso? La semplice considerazione di un coinvolgimento degli Stati Uniti porterebbe una serie di reazioni e conseguenze. Prima di tutto, è importante sottolineare che la risposta degli Stati Uniti a una crisi petrolifera dipenderebbe da molti fattori, come l’interesse nazionale, le alleanze internazionali e le priorità politiche.
Se gli Stati Uniti fossero coinvolti attivamente nel conflitto in corso e si fosse una crisi petrolifera, alcune possibili reazioni potrebbero essere:
Aumento della produzione interna: Gli Stati Uniti potrebbero intensificare la produzione di petrolio domestico per compensare la mancanza di approvvigionamento esterno. Ciò potrebbe comportare una maggiore attività di estrazione di petrolio e gas naturale nelle regioni interne degli Stati Uniti.
Diversificazione delle fonti di approvvigionamento: Gli Stati Uniti potrebbero cercare di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento energetico, riducendo la dipendenza da una sola regione o paese. Questo potrebbe portare a una maggiore importazione di petrolio da altre nazioni o un aumento degli investimenti nelle energie rinnovabili.
Collaborazione internazionale: Gli Stati Uniti potrebbero cercare di collaborare con altri paesi per affrontare la crisi petrolifera in modo coordinato. Ciò potrebbe includere la condivisione delle riserve strategiche di petrolio, la negoziazione di accordi di scambio energetico o l’implementazione di politiche di gestione della domanda e dell’offerta a livello globale.
Impatto sull’economia e sulle relazioni internazionali: Una crisi petrolifera potrebbe avere un impatto significativo sull’economia degli Stati Uniti e sulle relazioni internazionali. Potrebbe verificarsi un aumento dei prezzi dei carburanti, che potrebbe influenzare l’inflazione e la spesa dei consumatori. Inoltre, potrebbe esserci una rivalutazione delle alleanze internazionali e un ripensamento delle politiche energetiche a lungo termine.
Ovviamente tutti noi ci auguriamo che il grave conflitto tra Israele e Hamas possa rientrare, non per un problema economico, ma per far terminare la strge degli innocenti che non accenna a fermarsi, una cosa che anche il “gioco economico delle borse internazionali” dovrebbe volere…

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