Un sogno infranto nel campo di calcio
Marco (nome di fantasia), era un giovane calciatore pieno di talento e passione per il calcio. Quando venne chiamato a far parte di una squadra selezionata nella provincia di Milano, lui e suo padre erano entusiasti. Le promesse fatte dalla società sembravano troppo belle per essere vere, ma si fidarono e firmarono il cartellino.
Ben presto, però, si resero conto che quelle promesse erano solo un miraggio. La società aveva formato due squadre, una per il campionato regionale e l’altra per il provinciale. Marco si ritrovò nella squadra A, composta da ben 27 giocatori, molti dei quali con ruoli identici.
Gli allenamenti erano caotici e poco produttivi. Con così tanti giocatori, era impossibile concentrarsi sulla crescita individuale e sulla preparazione adeguata. I risultati in campo ne risentirono, e la squadra A faticava a ottenere risultati positivi.
Il mister, scarsamente competente, non sapeva come gestire la situazione e relegava Marco in panchina, preferendo altri giocatori senza qualità ma più adatti al suo stile di gioco fisico e disorganizzato. A metà stagione, il mister venne esonerato e sostituito da uno ancora peggiore, che incolpava i ragazzi per i risultati deludenti e faceva discriminazioni tra di loro.
Un giorno, Marco ricevette la chiamata da una squadra professionistica che lo invitava a partecipare ad alcuni allenamenti. La notizia fu accolta negativamente dal mister e dalla società, che lo accusarono di essersi allenato senza i nullaosta necessari. In realtà, il ragazzo aveva seguito tutte le regole, e il direttore sportivo fu costretto a scusarsi per la mancanza di comunicazione interna.
Tuttavia, il mister continuò a tenere Marco fuori dai giochi, sostenendo che non meritava di giocare se si era allenato con i professionisti senza informarlo. Marco, deluso e amareggiato, perse la voglia di giocare e non vedeva l’ora che quella brutta esperienza finisse, perdendo la voglia di giocare a quello sport in cui credeva e che per tanti anni era stato uno strumento per la sua crescita emotiva e sportiva.
Il racconto di Marco mette in luce come il calcio, troppo spesso, sia gestito da persone senza scrupoli, interessate solo al lato economico e ai risultati immediati, a discapito della crescita dei giovani calciatori. Gli allenatori che vengono squalificati per il loro comportamento scorretto, non dovrebbero più avere la possibilità di tornare a guidare una squadra, poiché rappresentano un cattivo esempio per gli adolescenti che, a loro volta, si sentono autorizzati ad agire nello stesso modo.
Anche i genitori che urlano dagli spalti, come alcuni papà dei ragazzi nella squadra di Marco, dovrebbero essere sanzionati con una sorta di daspo che gli impedisca di seguire i propri figli durante le partite. Il calcio dovrebbe essere un’occasione di crescita, di apprendimento e di divertimento per i giovani atleti, non un teatro di conflitti e frustrazioni.
Il sogno di Marco è stato infranto dalle persone che avrebbero dovuto sostenerlo e guidarlo verso il successo. Speriamo che il suo racconto possa servire da monito per tutti coloro che ruotano attorno al mondo del calcio giovanile, affinché si impegnino a costruire un ambiente sano e positivo, nel quale i giovani talenti possano crescere e realizzare i propri sogni.
Il calcio giovanile in Italia sta vivendo una situazione di crisi e di decadimento, che mette a rischio la sua funzione educativa e formativa per i ragazzi che lo praticano. Questa situazione è il frutto di diversi fattori che hanno alterato la natura e il senso di questo sport. Uno dei principali è la logica del risultato a tutti i costi, che domina molte società calcistiche, soprattutto quelle di alto livello. Queste società tendono a selezionare i talenti precocemente, a escludere i ragazzi meno dotati, a esercitare una pressione eccessiva sui giovani calciatori, a trascurare la loro salute fisica e mentale, infine a non trasmettergli valori etici e sociali. In questo modo, il calcio diventa una fonte di stress, di frustrazione, di conflitto e di violenza, e non di divertimento, di crescita, di apprendimento e di aggregazione.
Un altro fattore è la carenza di strutture adeguate, di personale qualificato, di risorse economiche e di opportunità di confronto con altre realtà. Molte società calcistiche infatti non dispongono di campi, spogliatoi, attrezzature e servizi adeguati per garantire la sicurezza e la qualità dell’attività sportiva. Inoltre, mancano figure professionali come allenatori, educatori e dirigenti in grado di seguire i ragazzi con competenza e sensibilità. Infine, ci sono poche occasioni per scambiare e collaborare con altre realtà calcistiche, sia a livello nazionale che internazionale.
Tutti questi fattori hanno come conseguenza un calo del numero di praticanti, un impoverimento del livello tecnico e una perdita di interesse verso questo sport. Il calcio giovanile in Italia rischia così di perdere il suo ruolo sociale e culturale, che è quello di formare dei cittadini responsabili e consapevoli attraverso lo sport.
Per invertire questa tendenza negativa, è necessario intervenire a più livelli, coinvolgendo le società calcistiche, la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), le istituzioni scolastiche e le famiglie. Per raggiungere questa inversone di rotta vi sono alcune azioni possibili e immediate che potrebbero essere attuate,come:
- Promuovere una cultura del calcio basata sul divertimento, sul rispetto, sulla solidarietà e sulla passione, e non sulla competizione, sull’individualismo e sull’arrivismo. Il calcio deve essere visto come un gioco, come un’occasione per esprimersi, per socializzare, per divertirsi. Il risultato deve essere importante solo come stimolo al miglioramento e non come fine ultimo.
- Valorizzare tutti i ragazzi, indipendentemente dalle loro capacità e potenzialità, offrendo loro percorsi personalizzati e adeguati alle loro esigenze e aspirazioni. Ogni ragazzo deve avere la possibilità di praticare il calcio secondo le sue attitudini e le sue motivazioni. Non si devono creare gerarchie o discriminazioni tra i ragazzi in base al loro livello tecnico o alla loro età.
- Formare adeguatamente gli allenatori, gli educatori e i dirigenti delle società calcistiche, affinché siano in grado di trasmettere ai ragazzi i principi dello sport e della vita.
Queste figure devono avere una preparazione tecnica ma anche pedagogica ed etica. Devono essere capaci di insegnare il calcio ma anche i valori dello sport come il fair play, il rispetto delle regole, la collaborazione, la tolleranza. Per questo è necessario a livello di Governo studiare nuove misure economiche che permettano di:
- Incrementare le risorse economiche destinate al calcio giovanile, attraverso il sostegno pubblico e privato, la sponsorizzazione e il crowdfunding. Le società calcistiche devono avere a disposizione dei fondi sufficienti per sostenere le spese legate all’attività sportiva, come le iscrizioni ai campionati, le assicurazioni, le divise, le trasferte. Rimborsi a Mister qualificati che diventerebbero veri Educatori al pari degli insegnanti delle scuole. Devono anche poter offrire delle borse di studio o delle riduzioni delle quote ai ragazzi meno abbienti o meritevoli.
- Favorire lo scambio e la collaborazione tra le diverse realtà calcistiche, sia a livello nazionale che internazionale, organizzando tornei, stage, gemellaggi e progetti comuni. Le società calcistiche devono aprirsi al confronto e alla condivisione con altre realtà, per arricchire le proprie esperienze e conoscenze. Devono anche promuovere la mobilità e l’interculturalità dei ragazzi, facendoli partecipare a iniziative che li portino a conoscere altre culture e tradizioni.
- Coinvolgere le scuole e le famiglie nel progetto educativo del calcio giovanile, creando sinergie e reti di supporto tra i vari attori coinvolti. Le società calcistiche devono collaborare con le scuole e le famiglie per integrare il calcio con il percorso scolastico e familiare dei ragazzi. Devono anche sensibilizzare le scuole e le famiglie sull’importanza dello sport per lo sviluppo fisico, cognitivo, emotivo e sociale dei ragazzi.
- Migliorare le strutture e le attrezzature sportive, garantendo la sicurezza, l’accessibilità e la qualità dei servizi offerti. Le società calcistiche devono avere a disposizione dei campi in buone condizioni, degli spogliatoi puliti e funzionali, delle attrezzature moderne e sicure. Devono anche offrire dei servizi aggiuntivi come il trasporto, l’assistenza medica.
Queste sono solo alcune delle possibili azioni che si potrebbero attuare per rilanciare il calcio giovanile in Italia e restituire a questo sport il suo ruolo sociale e culturale. Il calcio giovanile infatti non è solo una palestra di vita per i ragazzi che lo praticano, ma anche una risorsa per la società intera, che può trarre beneficio da una generazione di cittadini responsabili e consapevoli.
Il calcio giovanile in Italia ha bisogno di un cambiamento radicale, che parta da una nuova visione e da una nuova cultura dello sport. Il calcio non deve essere visto come un’attività fine a se stessa, ma come un mezzo per educare e formare i ragazzi a livello fisico, mentale e sociale. Solo così il calcio giovanile potrà tornare ad essere una fonte di divertimento, di crescita, di apprendimento e di aggregazione per i ragazzi e per la società intera.