di Marco De Luca
La forma d’arte più interessante quando si parla di ecologia e pianeta è sicuramente la Land Art.
Nata alla fine degli anni 60 negli Stati Uniti ha pian piano colonizzato l’immaginario di molti artisti in tutto il mondo e ispirato opere tanto monumentali quanto effimere.
Per i suoi rappresentanti l’arte doveva uscire dai musei, considerati troppo asettici, e spostarsi direttamente sul territorio. Il paesaggio così non è più solo il soggetto dell’opera ma diventa esso stesso materia dell’opera. Gli interventi così avvengono nei deserti, nei laghi salati, nelle praterie, in luoghi dove la civilizzazione non è ancora arrivata.
Sono segni nel terreno, installazioni temporanee, testimonianze del proprio passaggio. Ed è proprio così che gli artisti possono mandare il loro messaggio. Per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche ecologiche, per far riflettere sulla natura e i danni che le stiamo causando, per esaltare la bellezza e unicità del nostro mondo.
Niente di meglio che qualche esempio allora per capire meglio di cosa stiamo parlando. Partiamo con un classico, almeno per noi italiani visti i molti interventi fatti nel bel paese nel corso degli anni, i land artist Christo e Jeanne-Claude. Una delle loro ultime opere è stata infatti realizzata in Italia “The Floating Piers” sul lago d’Iseo nel 2016.
L’opera era costituita da una serie di pontili galleggianti che permettevano dalla sponda del lago di raggiungere l’isola di Monte isola semplicemente camminando. I visitatori avevano così la possibilità di vivere il paesaggio in un modo completamente nuovo, di vedere la bellezza di questo scorcio di Lombardia grazie al cambio di prospettiva.
Spostandoci in Giappone possiamo invece trovare le opere di Toshihiko Shibuya. Al centro delle sue istallazioni c’è la neve, la luce e il panorama. “Snow pallet” realizzato a nord nell’Hokkaido è formato da oggetti fluorescenti che creano pozzanghere di colore sul panorama innevato e sono in continuo mutamento a seconda dell’ora del giorno, della luce e della neve. A trasformare l’opera ci pensa dunque la natura stessa del luogo, l’intervento dell’artista è minimo, al resto ci pensa il meteo con le sue nevicate.
Shibuya prosegue ormai da 12 anni con questa serie di installazioni temporanee, che dall’inizio della stagione fredda sottolineano i mutamenti del paesaggio con il loro stile minimale. Come ha spiegato lo stesso artista però nel corso degli anni il riscaldamento globale ha diminuito sensibilmente le nevicate.
Anche l’Italia ha dato i natali a uno dei più rappresentativi artisti della Land Art, Alberto Burri. Il “Grande Cretto” con i suoi quasi 12 ettari è una delle opere d’arte contemporanea più estese al mondo. La sua genesi è davvero particolare. Il terremoto del Belice del 1968 infatti aveva completamente distrutto la città vecchia di Gibellina. Quindici anni più tardi l’artista riutilizza le macerie abbandonate e le cementifica in figure geometriche che ripercorrono vie e vicoli del vecchio paese siculo.
Dall’alto l’opera appare come una mappa stradale di un paese che non esiste più ma che è stato congelato nel tempo come memoria storica. Quasi un monito a ricordare che la forza della natura non può essere addomesticata.