Esopianeti: la nuova frontiera della vita nello spazio
Così gli astronomi cercano i mondi lontani che potrebbero ospitare l’umanità in caso di catastrofe globale.
La scoperta dei primi esopianeti non è stata facile né altretttanto scontata. Gli astronomi hanno dovuto affrontare numerosi ostacoli tecnici e teorici, oltre a competere tra loro per la gloria scientifica. Il primo esopianeta confermato è stato trovato più di 20 anni fa, nel 1992 attorno a una stella molto particolare: una pulsar, cioè quello che rimane di una stella supernova dopo la sua esplosione. Si tratta di un oggetto estremamente denso e veloce, che emette impulsi regolari di radiazione elettromagnetica. La pulsar in questione si chiama PSR B1257+12 e si trova a circa 2300 anni luce dalla Terra. Gli scienziati polacchi Alexander Wolszczan e Dale Frail notarono che la frequenza degli impulsi variava periodicamente, come se fosse influenzata da qualcosa. Analizzando i dati, scoprirono che attorno alla pulsar orbitavano due pianeti con masse simili a quelle di Giove e Saturno. In seguito, trovarono anche un terzo pianeta più piccolo, con una massa simile a quella della Luna. Questi pianeti sono stati chiamati Draugr, Poltergeist e Phobetor, nomi ispirati a creature mitologiche legate ai morti.
La scoperta di Wolszczan e Frail ha stupito la comunità scientifica, perché nessuno si aspettava di trovare dei pianeti attorno a una pulsar. Si pensava infatti che l’esplosione della supernova avesse distrutto o disperso qualsiasi corpo celeste vicino alla stella originaria. Come si sono formati questi pianeti? Una possibile spiegazione è che si siano originati dal materiale residuo del disco circumstellare dopo l’esplosione, oppure che siano il risultato della fusione di altri oggetti più piccoli come asteroidi o comete. In ogni caso, si tratta di mondi molto diversi dal nostro, esposti a forti radiazioni e campi magnetici, dove la vita è improbabile se non impossibile.
La scoperta dei pianeti attorno alla pulsar ha aperto la strada ad altre ricerche sugli esopianeti, ma non ha soddisfatto la domanda principale: ci sono altri mondi simili alla Terra attorno a stelle simili al Sole? La risposta è arrivata nel 1995, quando due astronomi svizzeri, Michel Mayor e Didier Queloz, hanno annunciato di aver trovato un pianeta attorno alla stella 51 Pegasi, situata a circa 50 anni luce dalla Terra. Si tratta di una stella di tipo spettrale G, come il Sole, ma leggermente più calda e più vecchia. Il pianeta scoperto da Mayor e Queloz ha una massa pari a circa la metà di quella di Giove, ma si trova molto vicino alla stella: solo il 5% della distanza tra la Terra e il Sole. Questo significa che il suo periodo orbitale è di soli 4 giorni e che la sua temperatura superficiale supera i 1000 gradi Celsius. Per questo motivo, il pianeta è stato classificato come Giove , purtroppo un tipo di esopianeta molto diverso da quelli del nostro sistema solare.
Il pianeta attorno a 51 Pegasi, chiamato in seguito Dimidium, è stato scoperto usando un metodo diverso da quello astrometrico: il metodo spettroscopico o delle velocità radiali. Questo metodo si basa sul fatto che quando un pianeta orbita attorno a una stella, la stella stessa si muove leggermente verso e lontano dall’osservatore, a causa della forza di gravità esercitata dal pianeta. Questo movimento provoca uno spostamento delle linee dello spettro della stella, che diventano più rosse o più blu a seconda della direzione. Misurando questi spostamenti, si può calcolare la massa e la distanza del pianeta dalla stella. Il metodo spettroscopico è più sensibile di quello astrometrico e richiede strumenti meno sofisticati, ma ha anche dei limiti: funziona meglio con i pianeti massicci e vicini alla stella, e non permette di determinare l’inclinazione dell’orbita del pianeta rispetto alla linea di vista dell’osservatore.
Il metodo spettroscopico è stato usato per scoprire molti altri esopianeti, soprattutto Giove caldi, ma anche altri tipi di pianeti con caratteristiche diverse. Alcuni esempi sono i Nettuno caldi, chiamati Superterre, i Pianeti oceano e i Pianeti lavici. Tuttavia, questi mondi non sono molto adatti alla vita, almeno secondo i criteri che conosciamo. Per trovare dei veri gemelli della Terra, servono altri metodi e altri strumenti. Il metodo spettroscopico ha permesso di scoprire molti esopianeti, ma ha anche dei limiti. Per esempio, non è in grado di rilevare i pianeti che orbitano attorno alla stella in un piano perpendicolare alla linea di vista dell’osservatore, perché in questo caso non ci sono spostamenti delle linee dello spettro. Inoltre, non fornisce informazioni sul diametro o sulla composizione dei pianeti, che sono dati importanti per capire se sono abitabili o meno. Per superare questi limiti, gli astronomi hanno usato un altro metodo: il metodo del transito. Questo metodo si basa sul fatto che quando un pianeta passa davanti alla sua stella, ne oscura una piccola parte, causando una diminuzione della luminosità della stella stessa. Misurando questa diminuzione, si può calcolare il diametro del pianeta e il suo periodo orbitale. Inoltre, analizzando lo spettro della luce della stella filtrata dall’atmosfera del pianeta, si possono dedurre alcune proprietà chimiche e fisiche del pianeta stesso.
Il metodo del transito è stato usato per la prima volta nel 2000, quando gli astronomi hanno osservato l’eclissi di una stella da parte di un esopianeta. Si tratta di 51 Pegasi b, lo stesso pianeta scoperto da Mayor e Queloz nel 1995 con il metodo spettroscopico. Questo ha permesso di confermare la sua esistenza e di ottenere nuove informazioni sul suo diametro e sulla sua atmosfera. Da allora, il metodo del transito è diventato uno dei più usati per la ricerca degli esopianeti, soprattutto grazie al lancio di telescopi spaziali dedicati come Kepler e TESS. Questi telescopi hanno monitorato migliaia di stelle contemporaneamente, rilevando i transiti di numerosi esopianeti di varie dimensioni e tipologie. Alcuni esempi sono i Nettuno caldi, i Superterre, i Pianeti oceano e i Pianeti lavici. Tuttavia, anche il metodo del transito ha dei limiti: funziona meglio con i pianeti grandi e vicini alla stella, e richiede che il piano orbitale del pianeta sia allineato con la linea di vista dell’osservatore.
Il metodo del transito è stato usato anche per scoprire alcuni esopianeti molto simili alla Terra, sia per dimensione che per distanza dalla stella. Questi esopianeti sono considerati potenzialmente abitabili, cioè in grado di avere acqua liquida in superficie e una temperatura moderata. Alcuni esempi sono Kepler-186f, Kepler-452b e TRAPPIST-1e. Tuttavia, per confermare la presenza di vita su questi mondi servono altri metodi e altri strumenti.
Un metodo alternativo per la ricerca degli esopianeti è il metodo della microlente gravitazionale. Questo metodo si basa sul fatto che quando due stelle si allineano con la linea di vista dell’osservatore, la stella più vicina funge da lente gravitazionale, cioè devia e amplifica la luce della stella più lontana. Se la stella più vicina ha un pianeta, questo influisce sull’effetto di lente, causando una variazione della luminosità della stella più lontana. Misurando questa variazione, si può calcolare la massa e la distanza del pianeta dalla stella.
Metodo della microlente gravitazionale: quando due stelle si allineano con la linea di vista dell’osservatore, la stella più vicina funge da lente gravitazionale, cioè devia e amplifica la luce della stella più lontana. Se la stella più vicina ha un pianeta, questo influisce sull’effetto di lente, causando una variazione della luminosità della stella più lontana.
Il metodo della microlente gravitazionale è stato usato per la prima volta nel 2004, quando gli astronomi hanno scoperto un esopianeta attorno alla stella OGLE-2003-BLG-235, situata a circa 5000 anni luce dalla Terra. Si tratta di un gigante gassoso con una massa simile a quella di Giove, ma situato a una distanza maggiore dalla sua stella. Da allora, il metodo della microlente gravitazionale è stato usato per scoprire altri esopianeti, soprattutto quelli situati a grandi distanze dalle loro stelle o quelli che non emettono luce propria, come i pianeti vagabondi o i buchi neri. Tuttavia, il metodo della microlente gravitazionale ha anche dei limiti: richiede un allineamento molto preciso tra le due stelle e l’osservatore, che è un evento raro e casuale, e non permette di osservare lo stesso esopianeta più volte.
Il metodo della microlente gravitazionale è stato usato anche per scoprire alcuni esopianeti molto simili alla Terra, sia per dimensione che per distanza dalla stella. Questi esopianeti sono considerati potenzialmente abitabili, cioè in grado di avere acqua liquida in superficie e una temperatura moderata. Alcuni esempi sono OGLE-2005-BLG-390Lb, OGLE-2016-BLG-1195Lb e KMT-2019-BLG-2073. Tuttavia, per confermare la presenza di vita su questi mondi servono altri metodi e altri strumenti.
La ricerca degli esopianeti è una delle sfide più affascinanti e importanti dell’astronomia moderna. Grazie ai vari metodi e strumenti usati dagli scienziati, abbiamo scoperto migliaia di mondi diversi e sorprendenti, che ci mostrano quanto sia vasto e vario il cosmo. Tuttavia, non abbiamo ancora trovato un vero gemello della Terra, un mondo dove possiamo essere sicuri che ci sia la vita o dove possiamo trasferirci in caso di necessità. Per farlo, servono nuove tecnologie e nuove missioni spaziali, che ci permettano di studiare in dettaglio gli esopianeti più promettenti e di cercare le tracce della vita. Questa è la nuova frontiera della vita nello spazio. Una delle sfide più importanti per la ricerca degli esopianeti è la risoluzione dei telescopi. Per poter osservare direttamente i pianeti attorno alle stelle, senza dover ricorrere a metodi indiretti come il transito o la velocità radiale, servono dei telescopi molto potenti e sensibili, capaci di distinguere il debole bagliore dei pianeti dal forte abbagliamento delle stelle. Questo è il caso del telescopio spaziale James Webb (JWST), il successore del famoso telescopio Hubble, lanciato alla fine del 2021 dopo vari ritardi. Il JWST è un progetto congiunto tra la NASA, l’Agenzia Spaziale Europea e l’Agenzia Spaziale Canadese, che ha richiesto oltre 10 miliardi di dollari di investimento. Il JWST ha uno specchio primario di 6,5 metri di diametro, composto da 18 segmenti esagonali, che gli permette di raccogliere molta più luce di Hubble. Inoltre, il JWST opera principalmente nella banda dell’infrarosso, che è più adatta per osservare gli oggetti freddi e distanti come gli esopianeti.
Il JWST ha tra i suoi obiettivi principali lo studio degli esopianeti, sia quelli già scoperti che quelli ancora da scoprire. Grazie alla sua risoluzione e sensibilità, il JWST sarà in grado di osservare direttamente alcuni esopianeti e di analizzare le loro atmosfere con una precisione senza precedenti. In questo modo, potrà rilevare la presenza di molecole come l’acqua, il metano, l’ossigeno e l’ozono, che sono considerate indicatori della vita o della sua possibilità. Il JWST sarà anche in grado di studiare la formazione e l’evoluzione dei sistemi planetari, osservando i dischi protoplanetari attorno alle stelle giovani e i detriti attorno alle stelle vecchie. Inoltre, il JWST potrà contribuire alla scoperta di nuovi esopianeti, usando sia il metodo del transito che il metodo della microlente gravitazionale.
La scoperta e lo studio degli esopianeti sono solo il primo passo verso la nuova frontiera della vita nello spazio. Il passo successivo è quello di raggiungere questi mondi lontani e di esplorarli direttamente. Questo è il sogno di molti scienziati e visionari, ma anche una necessità per la sopravvivenza dell’umanità in caso di catastrofe globale. Tuttavia, per realizzare questo sogno servono delle tecnologie rivoluzionarie, che ci permettano di viaggiare a velocità mai raggiunte prima. Le astronavi attuali sono troppo lente per i viaggi interstellari: anche la sonda Voyager 1, che è l’oggetto più veloce mai costruito dall’uomo, impiegherebbe oltre 70 mila anni per raggiungere la stella più vicina, Proxima Centauri, situata a 4,2 anni luce dalla Terra.
Per superare questo limite, gli scienziati stanno lavorando su dei progetti innovativi e ambiziosi. Uno di questi è il progetto Breakthrough Starshot, lanciato nel 2016 con il sostegno del fisico Stephen Hawking e del miliardario Yuri Milner. Il progetto prevede di inviare una flotta di minuscole sonde spaziali verso Alpha Centauri, il sistema stellare più vicino al nostro, composto da tre stelle: Proxima Centauri, Alpha Centauri A e Alpha Centauri B. Le sonde avranno una massa di pochi grammi e saranno dotate di una vela solare, cioè una sottile membrana riflettente che cattura la pressione della radiazione luminosa. Le sonde saranno accelerate da un potente raggio laser sparato dalla Terra, che le porterà a raggiungere una velocità pari al 20% di quella della luce. In questo modo, le sonde impiegherebbero circa 20 anni per arrivare ad Alpha Centauri, dove potrebbero fotografare gli esopianeti presenti nel sistema e trasmettere le immagini alla Terra.
Il progetto Breakthrough Starshot è ancora in fase di sviluppo e richiede delle sfide tecnologiche e scientifiche enormi. Per esempio, bisogna costruire un raggio laser abbastanza potente e preciso da colpire le sonde a distanze enormi, bisogna proteggere le sonde dalle collisioni con le particelle interstellari e dai campi magnetici delle stelle, bisogna dotare le sonde di sistemi di comunicazione e navigazione efficienti e affidabili. Tuttavia, se il progetto riuscisse, sarebbe una pietra miliare nella storia dell’esplorazione spaziale e della ricerca della vita nello spazio.
Un altro progetto che potrebbe rivoluzionare i viaggi interstellari è quello di costruire un’astronave alimentata dall’antimateria. L’antimateria è il contrario della materia ordinaria: ha la stessa massa ma carica opposta. Quando l’antimateria si combina con la materia ordinaria, si annichiliscono a vicenda, rilasciando un’enorme quantità di energia. Questa energia potrebbe essere usata per accelerare l’astronave a velocità prossime a quella della luce, riducendo drasticamente il tempo necessario per raggiungere le stelle. Tuttavia, ci sono molti problemi da risolvere prima di realizzare questo progetto. Per esempio, bisogna produrre e conservare grandi quantità di antimateria, che è molto rara e instabile, bisogna evitare che l’antimateria entri in contatto con la materia prima del momento opportuno, bisogna proteggere l’astronave e il suo equipaggio dalle radiazioni e dagli effetti relativistici.
Il progetto di un’astronave a antimateria è ancora più utopico di quello di una sonda a vela solare, ma non impossibile. Gli scienziati stanno studiando i principi fisici e le tecnologie necessarie per rendere realtà questo sogno. Se ci riuscissero, avremmo a disposizione un mezzo di trasporto spaziale senza precedenti, capace di portarci in qualsiasi angolo della galassia.
Ma chi sarebbero i pionieri dei viaggi interstellari? Chi sarebbe disposto a lasciare la Terra per sempre e a imbarcarsi in una missione così rischiosa e incerta? Non basterebbe un piccolo gruppo di avventurieri o di scienziati: per colonizzare un altro mondo servirebbero migliaia o addirittura milioni di persone, con diverse competenze e capacità. Servirebbero anche delle astronavi abbastanza grandi e confortevoli da ospitare queste persone per anni o decenni, fornendo loro tutto il necessario per vivere e lavorare nello spazio. Servirebbero anche delle motivazioni forti e convincenti per spingere queste persone a lasciare la loro casa e la loro civiltà per iniziare una nuova vita in un luogo sconosciuto.
Le motivazioni per i viaggi interstellari potrebbero essere molteplici: la curiosità scientifica, lo spirito esplorativo, il desiderio di avventura, la ricerca di libertà, la fuga da una situazione oppressiva o pericolosa, la speranza di un futuro migliore. Qualunque sia la motivazione, i viaggi interstellari richiedono un grande coraggio e una grande determinazione. Chi li intraprende deve essere consapevole dei rischi e delle sfide che li attendono, ma anche delle opportunità e delle meraviglie che li aspettano. Chi li intraprende deve essere pronto a dire addio alla Terra e a tutto ciò che essa rappresenta, ma anche ad accogliere un nuovo mondo e a tutto ciò che esso offre.
Probabilmente non saremo mai i protagonisti dei viaggi interstellari. Ma forse i nostri figli, o i nostri nipoti, o i nostri pronipoti, realizzeranno il nostro sogno e vedranno con i propri occhi la luce di pianeti lontani. Forse saranno loro a scoprire la nuova frontiera della vita nello spazio.